Mancano pochi giorni alla Pasqua. Gli scaffali di negozi e supermercati sono invasi dai prodotti tipici di questa festività, quali Colombe e Uova di cioccolato. Per aiutare i consumatori a effettuare una scelta consapevole il Dipartimento Sicurezza Alimentare del Movimento Difesa del Cittadino ricorda alcune importanti informazioni riguardo questi due prodotti.
Colomba: secondo il Decreto del 22 luglio 2005 interministeriale (Ministero delle Attività Produttive e Ministero delle Politiche Agricole e Forestali) la denominazione “Colomba” è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma irregolare ovale simile alla colomba, una struttura soffice ad alveolatura allungata, con glassatura superiore e una decorazione composta da granella di zucchero e almeno il 2% di mandorle, riferito al prodotto finito e rilevato al momento della decorazione.
Gli ingredienti obbligatori sono: farina di frumento; zucchero; uova di gallina di categoria “A” o tuorlo d’uovo, o entrambi, in quantità tali da garantire non meno del 4% in tuorlo; materia grassa butirrica (cioè burro), in quantità non inferiore al 16%; scorze di agrumi canditi, in quantità non inferiore al 15%; lievito naturale costituito da pasta acida; sale.
I prodotti venduti direttamente nei laboratori possono essere commercializzati senza etichetta purché sul banco di vendita un cartello o un registro indichino la denominazione di vendita e la lista degli ingredienti
Uova di Pasqua: per questo prodotto è essenziale valutare la qualità del cioccolato da leggere nella lista degli ingredienti. In particolare, è importante verificare la percentuale di cacao e la presenza di altre sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao. Se il cioccolato contiene fino al 5% di grassi vegetali diversi dal burro di cacao, la denominazione resta immutata, ma l’etichettatura deve contenere, in grassetto, la specifica dizione: “contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”.
Per “cioccolato” si intende il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri. Deve contenere almeno il 35% di sostanza secca totale di cacao e almeno il 18% di burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato.
Per “cioccolato al latte” si intende invece il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti derivati dal latte. Deve contenere almeno il 25% di sostanza secca totale di cacao, il 14% di sostanza secca totale di origine lattica e il 25% di materie grasse totali.
A queste denominazioni di vendita si possono aggiungere altre diciture quali “fine”, “finissimo” e “extra”, sempre che il prodotto contenga: nel caso del “cioccolato”, non meno del 43% di sostanza secca totale di cacao, di cui non meno del 26% di burro di cacao; b) nel caso del “cioccolato al latte”, non meno del 30% di sostanza secca totale di cacao e del 18% di sostanza del latte ottenuta dalla disidratazione parziale o totale di latte intero, parzialmente o totalmente scremato, panna, panna parzialmente o totalmente disidratata, burro o grassi del latte, di cui almeno il 4,5% di grassi del latte.
Il caso. “Cioccolato Puro”, la sentenza della Corte di Giustizia Ue
Lo scorso novembre la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha bocciato la scelta dell’Italia di aggiungere alle diciture previste quella di “puro” per i prodotti senza grassi vegetali diversi dal burro di cacao. Come spiega la sentenza (16 gennaio 2003, causa C-14/00, Commissione/Italia ) per i prodotti di cioccolato che contengono unicamente burro di cacao, è possibile indicare sull’etichettatura tale informazione, purché sia corretta, imparziale, obiettiva e non induca in errore il consumatore. La normativa italiana prevede la possibilità che la dicitura “cioccolato puro” sia aggiunta o integrata nelle denominazioni di vendita o sia indicata in altra parte dell’etichettatura dei prodotti che non contengono grassi vegetali sostitutivi e commina ammende (da 3000 a 8000 euro) in caso di violazione. La Commissione ha presentato un ricorso per inadempimento contro l’Italia dinanzi alla Corte di giustizia, affermando che tale Stato membro ha introdotto una denominazione di vendita supplementare per i prodotti di cioccolato, a seconda che essi possano essere considerati “puri” o meno. Tale circostanza integrerebbe una violazione della direttiva e si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza della Corte. La Commissione ritiene che il consumatore debba essere informato circa la presenza o meno nel cioccolato di grassi vegetali sostitutivi mediante l’etichettatura e non tramite l’impiego di una distinta denominazione di vendita.
Intanto lo scorso dicembre Elio Di Vito, Ministro per i rapporti con il Parlamento, nel corso del question time, ha fatto sapere che il Ministero dello sviluppo economico ha allo studio ogni valida iniziativa le necessarie modifiche del decreto legislativo n. 178 del 2003, che consentano di evitare le sanzioni comunitarie, mantenendo il necessario livello di informazione ai consumatori, non appena saranno conosciute le motivazioni della sentenza della Corte di giustizia.
Fonti: Direttiva 2000/36/CE; D.lgs.vo 12/6/2003, n. 178; Sentenza 16 gennaio 2003, causa C-14/00, Commissione/Italia; L’Etichetta del Cacao e Cioccolato del Ministero delle Attività Produttive; L’etichetta di panettone, pandoro, colomba, savoiardo, amaretto e amaretto morbido del Ministero delle Attività Produttive; Decreto del 22 luglio 2005, Ministero delle Attività Produttive e dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali; Interrogazione “Iniziative in ambito comunitario volte all’adozione dell’etichettatura obbligatoria sull’origine dei prodotti, con particolare riferimento alla denominazione di « cioccolato puro» – n. 3-01356”.