Quali effetti derivano dall’uso dell’olio di palma come ingrediente alimentare? A cercare di fare il punto della situazione un recente parere elaborato dall’Istituto superiore di sanità. Scrive l’Istituto superiore di sanità: “Nel contesto di un regime dietetico vario e bilanciato, comprendente alimenti naturalmente contenenti acidi grassi saturi (carne, latticini, uova), occorre ribadire la necessità di contenere il consumo di alimenti apportatori di elevate quantità di grassi saturi i quali, nelle stime di assunzione formulate nel presente parere, appaiono moderatamente in eccesso nella dieta delle fasce più giovani della popolazione italiana”. Queste le conclusioni cui giunge l’ISS nel documento, elaborato su richiesta del Ministero della Salute.
Complessivamente emerge un quadro che tende a ridimensionare i recenti allarmi salutisti collegati all’uso di olio di palma, ma con una grande lacuna legata al fatto che i dati usati dall’Iss non sono aggiornati: per calcolare il consumo di questo grasso nella popolazione adulta e nei bambini, infatti, vengono usati dati riferiti al 2005-2006 a fronte di abitudini alimentari che possono essere molto cambiate nel tempo. E questo non è sfuggito a chi si occupa da tempo di olio di palma.
Ma cosa dice l’ISS? Evidenzia che l’olio di palma è un ingrediente largamente impiegato nell’industria alimentare e rappresenta una rilevante fonte di acidi grassi saturi: è infatti composto per il 50% da acidi grassi saturi (quasi esclusivamente acido palmitico), per il 40% da acidi grassi monoinsaturi (acido oleico) e per il restante 10% da acidi grassi poliinsaturi (acido linoleico). Scrive l’Iss che “la letteratura scientifica non riporta l’esistenza di componenti specifiche dell’olio di palma capaci di determinare effetti negativi sulla salute, ma riconduce questi ultimi al suo elevato contenuto di acidi grassi saturi rispetto ad altri grassi alimentari. Evidenze epidemiologiche attribuiscono infatti all’eccesso di acidi grassi saturi nella dieta effetti negativi sulla salute e, in particolare, un aumento del rischio di patologie cardio-vascolari”.
L’Istituto Superiore di Sanità ha pertanto stimato il contributo dell’olio di palma all’assunzione complessiva di acidi grassi saturi con la dieta, comprensiva quindi di quelli assunti attraverso alimenti non trasformati come latte e derivati, uova e carne. I principali organismi sanitari nazionali e internazionali raccomandano livelli di assunzione di acidi grassi saturi non superiori al 10% delle calorie totali.
“Le stime di assunzione di acidi grassi saturi effettuate dall’Istituto Superiore di Sanità – si legge nel documento – riportano un consumo nella popolazione generale adulta di circa 27 grammi al giorno, con un contributo dell’olio di palma stimato tra i 2,5 e i 4,7 grammi. Nei bambini di età 3-10 anni, le stime indicano un consumo di acidi grassi saturi tra i 24 e 27 grammi al giorno, con un contributo di saturi da olio di palma tra i 4,4 vs. 7,7 grammi. E’ da sottolineare che queste stime sono state ottenute utilizzando come riferimento i dati dei consumo degli alimenti in Italia riferiti agli anni 2005-2006 (gli unici disponibili al momento) e che quindi un aggiornamento di questi possa portare a definire diversi livelli di esposizione agli acidi grassi saturi da parte della popolazione italiana. Negli ultimi dieci anni, infatti, si è osservato un trend di crescita delle importazioni in Italia di olio di palma a scopo alimentare, trend che sottende lo spostamento dell’industria alimentare dall’uso di margarine e burro, a quello di olio di palma. Complessivamente – prosegue il documento – emerge che il consumo totale di acidi grassi saturi nella popolazione adulta italiana è di poco superiore (11,2%) all’obiettivo suggerito per la prevenzione (inferiore al 10 % delle calorie totali giornaliere). Il consumo complessivo di grassi saturi nei bambini tra i 3 e i 10 anni risulta superiore all’obiettivo fisso del 10%”.
Di fronte a questi dati, l’Iss conclude che “non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/poliinsaturi, quali, ad esempio, il burro”. Allo stesso tempo, l’Istituto deve evidenziare che ci sono fasce di popolazione più vulnerabili e che, anche nelle stime usate nel parere, emerge un consumo “moderatamente in eccesso” fra i giovani: “Fasce di popolazione quali bambini, anziani, dislipidemici, obesi, pazienti con pregressi eventi cardiovascolari, ipertesi possono presentare una maggiore vulnerabilità rispetto alla popolazione generale. Per tale ragione, nel contesto di un regime dietetico vario e bilanciato, comprendente alimenti naturalmente contenenti acidi grassi saturi (carne, latticini, uova), occorre ribadire la necessità di contenere il consumo di alimenti apportatori di elevate quantità di grassi saturi i quali, nelle stime di assunzione formulate nel presente parere, appaiono moderatamente in eccesso nella dieta delle fasce più giovani della popolazione italiana”.
Un parere che non a caso non piace al Fatto Alimentare, promotore di una lunga campagna contro l’olio di palma. Perché? Secondo la testata specializzata, il consumo stimato è infatti inferiore a quello reale: ”Lo studio dell’ISS si basa su un dato FAO del 2011 in cui si dice che l’olio tropicale importato in Italia ad uso alimentare ammonta a 77 mila tonnellate – scrive il Fatto Alimentare – In realtà secondo le aziende produttrici (AIDEPI) e l’Istat, le tonnellate sono 350 mila (dato 2014) con incrementi a due cifre ogni anno. Questo vuol dire che i cittadini italiani non assumono in media 3,15 grammi di palma al giorno, come scritto nel documento, ma 4,5 volte di più! Il secondo errore riguarda i dati sui prodotti consumati, si tratta di quelli dell’Inran di 10 anni fa, gli unici disponibili a livello ufficiale, ma superati dai fatti”.
Fonte: HelpConsumatori