Roma, 22 giugno 2009 – Una versione pasticciata e “alla buona” di quella americana, un deludente compromesso che fa nutrire forti dubbi sull’effettiva possibilità di offrire vantaggi per i consumatori e per le imprese. Questa l’immagine della class action “all’italiana” rappresentata dalla stampa del nostro Paese e analizzata dal rapporto “L’occasione perduta. Class action e consumerismo nella stampa italiana” presentato nel corso del convegno “Processo all’informazione consumerista. Mass media, aziende e associazioni a confronto”, organizzato oggi a Roma da Movimento Difesa del Cittadino e Movimento Consumatori in collaborazione con Consumers’ Forum.
L’analisi sulla rappresentazione della class action e del movimento consumerista nella stampa italiana, realizzato per le due associazioni da un gruppo di ricercatori della Facoltà di Scienze della Comunicazione Università La Sapienza di Roma, ha riguardato un corpus di 369 articoli e 18 editoriali pubblicati tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del 2008 su quattro quotidiani italiani, scelti in base alla tiratura, alla diffusione e alla specificità tematica: Repubblica, Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore e Italia Oggi. Obiettivo: spiegare quanto, quando e come la stampa italiana abbia affrontato il tema delle azioni collettive e con quali posizioni.
Oltre a essere percepita come un meccanismo inefficace e farraginoso, l’immagine della class action, condizionata dai continui rinvii legislativi, ha rischiato spesso di rendere sterile il dibattito sull’argomento. La narrazione giornalistica guarda alla class action ancorandosi prevalentemente a casi concreti: il riferimento ad una particolare class action compare infatti nella larga maggioranza degli articoli (69,6%). Guardando al contenuto di questi riferimenti (se presenti), emerge come essi abbiano per oggetto in primo luogo la possibilità (ovvero la “minaccia”) di intraprendere un’azione collettiva (42,8% dei casi), quasi a sottolinearne una valenza di “spauracchio”, in particolare nei confronti delle imprese. Al secondo posto gli articoli dedicati agli sviluppi o gli aggiornamenti su una class action in corso (23,7%), che rendono evidente il peso della vicenda Parmalat su questa categoria.
Nel 39,8% degli articoli analizzati, l’azione collettiva viene presentata come favorevole per i consumatori e i cittadini, ma è tutt’altro che irrilevante il peso degli articoli in cui la class action viene presentata come elemento di danno per le aziende o le amministrazioni pubbliche (22,1% degli articoli). Mentre i quotidiani economici hanno tendenzialmente orientato alla messa in evidenza dei pericoli per le aziende, le altre testate hanno seguito una linea editoriale più vicina ai possibili vantaggi per i consumatori.
Di particolare interesse è la verifica dei settori cui si riferiscono i richiami alla class action (vedi tabella 8 nel rapporto o nella sintesi del rapporto): al primo posto il settore bancario (36,9%). E’ un dato netto, sul quale pesano in maniera determinante gli sviluppi del caso Parmalat e la pesante crisi finanziaria nel mercato dei subprime americani, il crack di Lehmann Brothers e di altre banche d’affari statunitensi. A seguire, il comparto della telefonia e delle telecomunicazioni, spesso associato a clausole vessatorie nei confronti dei consumatori (13,1%). Al quarto posto, anche per effetto delle aspettative e delle critiche scaturite dalle dichiarazioni del ministro Brunetta, c’è la pubblica amministrazione (8,3%).
Come è stato percepito il ruolo del movimento consumerista? Ritenuto un soggetto centrale nella possibile proposta di class action (il riferimento alle associazioni è, infatti, presente in circa la metà degli articoli più specificamente centrati sul tema delle azioni collettive), ma nel complesso, la vocalità dei consumeristi appare minoritaria rispetto a quella di altri soggetti, in primis il Governo.
In conclusione, il dibattito giornalistico sviluppatosi sulla class action nel 2008 è stata un’occasione per molti versi mancata di un più puntuale approfondimento degli strumenti a tutela dei consumatori nel nostro Paese.
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